NARRAZIONI AUTOBIOGRAFICHE

TEATRO E NARRAZIONI AUTOBIOGRAFICHE

Narrazione: prima forma di linguaggio

Nel provare a riflettere sul tema della narrazione e dell’autobiografia della persona e di come all’interno di un setting di arteterapia tali percorsi della vita  possano essere espressi e modellati parto da uno stimolo:  “la narrazione può articolarsi già dalle prime forme di linguaggio”.

Da questo spunto cercherò di fissare alcuni punti che attengono principalmente alla mia attività di regista teatrale al centro diurno ma che vanno a definirsi anche nel moto dell’attività della nostra esistenza.

Sin da quando nasciamo esprimiamo le nostre necessità attraverso il pianto, i suoni labiali, le sequenze vocali, fonemi non immediatamente comprensibili grammaticalmente ma ricchi di significato.

Crescendo il nostro linguaggio acquista un maggior intento comunicativo, le emozioni si traducono in gesti e parole che acquistano la forma incisiva necessaria a definire le nostre relazioni andando a costituire la nostra autobiografia.

Nel corso della nostra esistenza il bagaglio si accresce, le nuove esperienze vissute e narrate nella relazione con gli altri e con il mondo creano la nostra trama, la nostra storia formando la nostra memoria emotiva sperimentata, condivisa e rievocata nei diversi aspetti della nostra quotidianità nel tempo.

Una trama che, nelle continue interazioni sociali,  in spazi liberi da condizionamenti dove le nostre scelte assumono valore e significato, diventa espressione di identità di gruppo.

Emozioni narrate nello spazio del teatro

All’interno del mio setting di teatro, chi sale sul palco porta la sua storia, la sua identità culturale e sociale; una storia fatta per lo più di sofferenze, di isolamento, di marginalità, ma al tempo stesso ricca di episodi fortemente significativi, veri e propri soffi di autenticità che, nonostante la frammentazione e la  “confusione” del linguaggio affettivo propri della  malattia psichica, possono ritrovare, nello spazio della relazione teatrale e nell’immediatezza della  rappresentazione all’altro, un senso di verità e di  libertà;

la scena si concretizza quindi come un contenitore di emozioni, luogo di narrazione  e territorio per  sperimentare reti di relazioni  in cui collocare la propria storia personale, provare a recuperane il significato, metterla in forma, rimodellarla e riconnetterla a quella collettiva;

nell’interpretazione di un personaggio all’interno di  una interazione scenica, ciascuno narrando di se, rivela frammenti di storie scritte nella propria esperienza, passaggi della memoria;  contattando il proprio mondo emotivo  ognuno si racconta attraverso un linguaggio personale, un linguaggio a volte povero, scarno, elementare, frammentato,  a volte  ricco di dettagli, un linguaggio che, connesso all’armonia/disarmonia dei gesti,  delle azioni  e dei comportamenti  è traduzione spontanea del proprio modo di essere e di rivolgersi al mondo.

Il lavoro teatrale insieme ad utenti con gravi disturbi psicotici, all’interno di  un setting come luogo protetto dove poter sperimentare recitando linguaggi e forme comunicative, offre la possibilità di muoversi, avvicinarsi e soffermarsi, all’interno delle proprie autobiografie e lavorare sugli elementi della nostra memoria autobiografica.

All’interno dell’attività riabilitativa a mediazione teatrale, narrare le proprie emozioni positive e negative ha per me questo significato:

rievocarle e riportarle alla luce rivelandole nelle forme della personale rappresentazione scenica con la propria capacità descrittiva, la propria ricchezza espressiva, la propria plasticità emotiva,  attraverso modalità verbali (parola/monologo, parola/dialogo) e non verbale (gesto, azione, intenzione, comportamento/movimento)

parteciparle nel gruppo in un continuo gioco di atti comunicativi e relazionali

riconoscerle, dargli un nome e recuperarne il loro significato personale ed intimo

connetterle/integrarle con quelle narrate dell’altro attraverso forme di dialogo condivise rappresentabili sul palco

creare una trama condivisa che possa dal un lato facilitare il riconoscimento dei propri aspetti emotivi all’interno di una memoria collettiva, dall’altro portare a nuovi significati prima non percepiti o inespressi

Per concludere, nel corso degli anni l’attività artistica a mediazione teatrale, nel facilitare una partecipazione e una comunicazione gruppale , ha permesso agli utenti di sperimentare,  attraverso la grammatica del linguaggio della drammatizzazione, una nuova modalità di narrazione che, nello spazio e nel tempo agito nel setting ha prodotto un pensiero creativo sentito come espressione autentica e rappresentativa del proprio mondo interno.

 Luigi Coccia   Teatroterapeuta

 

 
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