Ritrovamenti dal passato, 1990-1993

Riemerge dalla soffitta un vecchio contenitore che racconta una parte del mio passato ludico.
Erano gli inizi degli anni 90 e nella mia città, Ascoli Piceno, si trascorrevano serate a suon di birra in uno dei pub più in voga della città, il “Nicolò IV“, cominciava da lì la mia esperienza di intrattenitore ludico. Con l’aiuto delle prime riviste di giochi in Italia (GiocArea, EGiochi, Giochi Magazine) cominciai a proporre nelle fredde serate invernali intrattenimento ludico ai malcapitati avventori del locale; con il benestare degli inconsapevoli gestori per quasi tre anni il martedì ed il giovedì al “Nicolò IV” si giocava utilizzando gli allegati delle riviste che prontamente modificavo e adattavo, organizzando squadre tra i tavoli che si scontravano fra di loro in un’atmosfera fatta di nuvole di fumo (a quei tempi il tabacco era ancora ammesso nei locali pubblici), panini arrostiti e birre scure.
Mi preparavo a dovere, stampavo (con le prime stampanti ad aghi) le cartelle per i giocatori, fotocopiavo le mappe e i tabelloni, costruivo gli elementi del gioco con materiali rudimentali e annunciavo i giochi con locandine spesso disegnate a mano (l’aver frequentato una scuola d’arte sarà pur servito a qualcosa!).

Da appassionato di romanzi gialli i primi giochi che proponevo erano delle vere e proprie sfide investigative tra gruppi di amici nei tavoli (Serate con delitto). Ogni tavolo un gruppo di investigatori e ogni 10 minuti un nuovo indizio veniva consegnato ai giocatori che dovevano riflettere, dedurre e scartare eventuali innocenti tra gli indiziati. L’accoglienza del gioco in un ambiente così particolare e poco strutturato fu subito buona, raramente trovavo qualcuno che non volesse prendere parte al gioco, comprese le coppie di innamorati che magari ricercavano un pò di intimità nell’oscurità dell’ultimo tavolino a destra e che invece venivano da me “importunate”.
Un altro tipo di giochi che andavano molto erano quelli di esplorazione su mappa, (Mission Impossible, La piramide maledetta) con enigmi da risolvere, tesori da trovare, ostacoli da superare, cercando di vincere arrivando prima degli altri alla fine del tortuoso percorso.
Mentre i giocatori erano presi dalle meccaniche e dall’atmosfera del gioco, da buon conduttore mi aggiravo tra i tavoli per dare spiegazioni, rinforzare lo spirito di partecipazione, dare qualche aiuto a chi era rimasto indietro (anche perchè l’illuminazone del locale, da riproduzione fedele di “english pub”, era veramente scarsa e riuscire a vedere la mappa era spesso un gioco anch’esso).


Ma i giochi che amavo far provare di più erano quelli in cui tutti i tavoli si sfidavano apertamente attraverso una animazione collettiva ed uno scontro diretto. Aggiudicarsi un quadro di valore più o meno sconosciuto nel gioco “Asta Crosta” o riuscire per primi a dichiarare la ricetta giusta in “Tutti chef” portavano l’esperienza ludica ad un livello sfidante più alto. Osservare i giocatori urlarsi contro, sbeffeggiarsi ed insultarsi, cercare soluzioni per vincere, tutto all’interno di una situazione ludica controllata, era davvero divertente, si evidenziavano in quelle due ore di gioco collettivo le potenzialità creative di socializzazione dell’ambiente ludico.


Poi in occasioni di feste come il famoso carnevale ascolano il pub si riempiva di gente e bisognava progettare qualche gioco che coinvolgesse un numero alto di partecipanti. “Spie” era un gioco per una cinquantina di persone e prevedeva la ricerca del proprio partner misterioso, riconoscibile tra tutti i presenti per una qualche caratteristica fisica o espressiva, l’unione dei codici cifrati presenti all’interno della propria scheda e in quella dell’altro giocatore complice e la risoluzione finale della missione di coppia. Il gioco non aveva tempistiche prefissate e veniva giocato durante la serata mentre si beveva, si ballava o chiacchierava amabilmente. Nonostante il clima festoso e “lascivo” era palpabile la tensione nella spasmodica ricerca del proprio complice, tra i partecipanti serpeggiava la prudenza, la circospezione, la diffidenza. L’ambientazione del gioco si era perfettamente sovrapposta al naturale svolgimento della particolare serata in maschera. Il gioco era diventato il mediatore comunicativo nelle relazioni spontanee tra i giocatori. Inutile dire che poi ci scappava anche qualche appuntamento con la sconosciuta di turno con cui avevamo giocato in coppia.

Con l’arrivo della bella stagione proponevo giochi all’aperto per le vie della città (una sorta di predecessori degli attuali urban games); a piedi o in bicicletta i giocatori dovevano scoprire misteri nascosti tra i monumenti di Ascoli Piceno, cercare indizi all’interno di negozi, chiamare ignoti numeri telefonici per avere indicazioni geografiche; mi appassionavo ad inventare sfide sempre più difficili e cercare luoghi improponibili dove far arrivare i giocatori.
Da buon animatore e da provetto game designer anche per me era una sfida, una sfida a fare sempre meglio, a trovare soluzioni creative, a far girare la mente, a coinvolgere le persone, a non rimanere immobile nella fissità e nella noia della classica provincia italiana.

Richiudendo la scatola nascosto nel fondo ho ritrovato il mio primo biglietto da visita con cui mi presentavo e proponevo i miei giochi, non ricordavo assolutamente di aver scelto come nome Ludicamente e mi fa nostalgia ripensarmi in quel periodo ad appassionarmi ad un “arte”, quella del gioco, in cui poi mi sarei immerso totalmente negli anni successivi cercando anche sbocchi professionali.
Ripongo la scatola, spolverandola un pò, vicino alle scatole dei miei giochi attuali, quelli progettati ma messi a decantare, quelli fatti e quelli ancora abbozzati; continuo a fare animazione, a giocare, a portare il gioco nelle comunità, a divulgare questa stupenda attività con una nuova professione, nuovi amici con cui confrontarmi ed ancora nuove idee da mettere in gioco.
